Il fiore inverso - Presentazione dei brani contenuti nel CD

8 maggio 2016 01. Il Fiore Inverso
Il fiore inverso - Presentazione dei brani contenuti nel CD

Qui di seguito potete trovare la presentazione editoriale dei singoli brani contenuti nel CD

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1) Il fiore inverso.
È il brano che dà nome al disco e che ne costituisce il ‘manifesto’, sia dal punto di vista musicale che poetico.
Si tratta della ‘torsione’ di una Canso provenzale (la cui linea melodica appare e scompare di continuo) in brano techno.
I testi, moltiplicando all’infinito l’allegoria del ‘fiore inverso’ e mascherandola da dialogo d’amore, descrivono la poesia come attività che si annida nelle ‘pieghe’ del reale e che lo smaschera, ribaltando ogni sentimento e ogni aspetto del reale, mentre ad ogni ‘boom’ elettronico fa da eco il verso di Raimbaut da cui tutto nasce: ar resplan la flors enversa…
La tromba di Fresu, che arriva nel finale, declina su mood jazz tutto il brano, mentre le parole descrivono lo scacco a cui comunque ogni poesia è destinata nei confronti del reale.

«È dal riflesso che nasce la luce dalla vena il sangue dalla pulsazione
ogni cuore dall’inverso che crea ciò che non è generato il mai nato
tutto ciò che ogni giorno è rinviato l’ultimo fiato e ciò che ormai
è stato consumato»

2) Scrivo quando sono stanco
Si tratta di un rap ‘sinfonico’ con la partecipazione di uno dei protagonisti più raffinati e radicali della scena hip-hop italiana: Kento.
Il brano è una lunga riflessione a due voci (che dialogano e ‘combattono’ tra loro) sul rapporto tra poesia e vita e dunque tra arte e realtà.
Sullo sfondo ritorna ossessivo il bisogno delle parole di farsi dissenso e denuncia e quello dell’artista di partecipare in ogni modo al cambiamento.

«Scrivo quando sono stanco quando
sono vivo parlo quando parlo vivo
e quello che dico dopo non lo scrivo
l’abbandono lo smèmoro l’ossìmoro
l’edùlcoro l’àncoro al tempo e poi
quando il tempo passa io prendo
fiato prendo tempo penso forse
scrivo perché ho nostalgia di prima
di quando parlavo ed ero vivo»

3)Milonga mutante
Questa milonga nasce dall’incontro e dall’intensa amicizia di Lello Voce con Horacio Ferrer, poeta e paroliere di Piazzolla, che lo ha più volte spinto a cimentarsi con il mondo del tango.
È la storia di un amore infelice e forse mai realizzato, che con il passare degli anni diventa simbolo di ogni rinuncia, senza per questo perdere la sua passionalità, e la sua addolorata fame di giovinezza.
La fisarmonica di Simone Zanchini e il violoncello tessono uno sfondo musicale in cui intensità e virtuosismo si fondono, mentre l’elettronica di Nemola sposta continuamente il focus musicale verso i territori ben più aspri e ‘mutanti’ della sperimentazione elettronica e lo spoken di Voce giunge sino alla soglia del canto, senza però mai oltrepassarla.

« (…)dici si cambia solo dentro fuori è scorza
nuvole fiamme vento che passa vita che si smorza»

4) Lai del ragionare esperto – remastered
Come sempre nei dischi di Voce&Nemola uno dei brani proviene da una raccolta precedente, a suggerire come tutto il loro lavoro sia un unicum, sia pure in continua mutazione.
Questo Lai proviene da Fast Blood (2004, Premio Delfini di Poesia) ed è uno dei brani più significativi della loro collaborazione con Paolo Fresu, qui integrata dalla presenza della caldissima viola di Luca Sanzò.
Nemola compone un sfondo sonoro ricchissimo per il «cupo e disperato acciottolarsi dei versi che raccontano i mille modi della sottomissione al potere. La tromba sordinata di Fresu, usata soprattutto in modo ritmico, lavora su un pedale di due accordi e in questo panorama sonoro orizzontale, via via più fosco, rappresenta la seconda voce che dialoga, chiosa, commenta, incalza quella tagliente e affabulatoria del poeta napoletano». (Luigi Onori, Paolo Fresu –Talkabout, biografia a due voci, Milano, 2006)

«oltretutto era ormai evidente l’inutilità d’ogni
sforzo lo smorzo aguzzo del morso il frutto
di anni e anni d’intemerata delinquenza d’onesta
cattiveria di massacri pignoli di danni
e beffe a bizzeffe a carico delle stelle della
sovversione della legge ultima del ritmo e la effe
consonante sibilante di forza di fine di fuoco
di fune di fischio di frutta di frode l’amante
falsa che qui chiamano democrazia la sciocca
filologia di diritti inesistenti che non è valsa
a nutrire che non è valsa a capire né a stringere
di senso il collo che non è valsa a frinire»

5) Disturbati dalla quiete
Questo brano è dedicato all’intensissima e tragica vicenda del poeta e rapper Alberto Dubito, amico e allievo di Voce.
La sua vita brevissima e la sua poesia, realizzata soprattutto come voce del gruppo rap Disturbati dalla CUiete, sono evocati in un brano scabro e dissonante, nel quale la tromba di Fresu si sovrappone al violoncello barocco di Eva Sola a cui è affidato il compito di ricucire melodicamente quanto la chitarra di Dario Comuzzi e l’elettronica e i campioni di Nemola strappano e distorcono senza posa.
Quasi che – grazie al suono e alle parole – ciò che non ha rimedio possa essere recuperato, lo spoken di Voce interroga ossessivamente un’assenza, la istiga alla vita e alla resistenza, prova a tenerla in vita, facendole eco.

«Le voci accordale ai muscoli agli occhi ai gesti a tutti
i passi mesti scrivi ogni suono insegui ogni tuono ogni
suono che nasca muto i sentimenti dimenticàti in tasca
l’elenco dei morti il catalogo di tutti i destini storti la
collana dei torti sgrana l’immaginazione in sogni segna
tutti i bisogni non risparmiare corpi & anime mèntimi
perché la memoria non si estingua ma tu va’ a vivere
in un’altra lingua ma tu alleva l’imprevisto l’inaudito
l’incallito coccola l’estraneo il subitaneo l’inutile il vile
graffia il vinile d’ogni emozione incidi di fiato roco ogni
emozione e non giocare il gioco di tempo ne resta poco
e ricorda non si scappa non c’è fuga che non sia nuda»

6) Il Lavoro cieco
È il brano più apertamente politico di questa raccolta, in cui i versi spietatamente dipingono lo scenario di una sconfitta ormai consumata, dalle cui ceneri però, inopinatamente, spunta ostinata la speranza concreta di una nuova utopia.
Lo spoken di Voce si fa quasi sussurrato, assume toni e intenzioni da melanconica fiaba, in aperto contrasto con la durezza dei contenuti, con la riproposta ossessiva dell’ormai datato slogan “lavorare meno, lavorare tutti”, che nel finale del refrain si trasforma nell’assai più radicale e disperato “vivere tutti, morire meno”, mentre la tromba di Fresu dialoga fittamente con lo struggente violoncello di Adele Pardi e Nemola struttura con la chitarra di Dario Comuzzi uno spazio sonoro sfumato e risonante di echi.

«hanno accecato il lavoro tagliato la lingua
ad ogni ribellione frantumato i timpani
della memoria strappato il cuore a ogni
sentimento bruciato i polpastrelli d’ogni
sensazione hanno disegnato la strada
e poi hanno sbarrato i cancelli hanno
riempito la nostra testa con il vuoto
dove volano i loro pipistrelli (…)»

7) La trappola
Questa lentissima salsa senza refrain è un’esplicita dichiarazione di poetica, una denuncia della poesia che si abbandona alla bellezza, piuttosto che alla necessità di fare senso e immaginare un futuro.
La ‘trappola’ è quella della scrittura, che può trasformarsi ad ogni passo in inutile narcisismo, se ignora che il suo compito è soprattutto quello di fare vendetta e di trasformare, volta per volta, le tradizioni in futuro, le radici in nuovi fiori.
Nata da un’idea musicale del musicista e compositore tedesco Michael Gross, per molto tempo tromba di Frank Zappa, la Trappola viene interpretata dalla tromba e dall’elettronica di Nemola con una dinamica che non lascia respiro nell’incrociarsi reciproco delle tastiere e degli ottoni.

«Si scrive lo sai per costruire la trappola
in cui poi si cadrà insieme a uno scampolo
di verità per scavare la buca al cui fondo
per un istante solo il corpo brillerà e poi
bruciando s’allontanerà (…)»

8) Sestina Rorschach
L’ultimo brano del CD, a chiudere il cerchio, torna ai Trovatori e alla Provenza, eleggendo questa volta a suo mentore Arnaut Daniel, definito da Dante “il miglior fabbro del parlar materno”.
Il testo frammenta e maschera in forme speculari le strutture di un Sestina provenzale, più precisamente di una Aube tragica, in cui il risvegliarsi dopo l’amore coincide con la delusione di una parola mancata e di un senso perduto.
Nonostante questo il poeta chiede alla sua Midons di catturarlo e ‘crocifiggerlo’ per sempre al suo destino di amante e cantore, di condannarlo, salvandolo, a una sempre nuova ‘nostalgia del futuro’.
L’elettronica e le tastiere di Nemola giocano sapientemente con le forme e con i ritmi tradizionali della musica trobadorica, mutandole e trasformandole senza posa, alla ricerca delle loro più profonde radici.

«La mia lingua è il profilo di un filo è un taglio
il tuo profilo è lingua di terra scampo maglio
che batte fino a fare foglio folla cólla zolla di
terra che rinserra»

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