La Rivoluzione fragile di Lello Voce

di Donatella Coccoli 22 marzo 2012 02. Piccola cucina cannibale
La Rivoluzione fragile di Lello Voce

«Ciò che è fragile è tagliente definitivamente imprevedibile intelligente…». Il canto si conclude così, la voce del poeta lancia l’ultima parola, la musica delle percussioni tace. Ma prima ha raccontato «perché sulle gru sui tetti al colosseo al senato all’università perché per pensare parlare sognare fare figli perché più che mai occorre fare di tutti i fasci un’erba ricordarsi della memoria e di chi la serba». Sono frasi dalla poesia “La rivoluzione fragile” che, tra gli ultimi scritti di Lello Voce, è un po’ una sintesi, una rappresentazione dell’opera Piccola cucina cannibale, il lavoro del “padre” italiano del poetry slam, appena uscito per l’editore Squilibri. La ribellione attraverso la parola nei confronti di una realtà esterna soffocante, l’amore cannibale che si autodivora, il «così non va non va non va» dal ritmo battente nel “Lai del ragionare lento”, o lo sguardo in avanti de “Il verbo essere” in cui il poeta dice «sarò figlio di mio figlio sarà lui a trascinarmi per l’ultimo miglio»: ecco alcuni elementi di Piccola cucina cannibale, un’opera che si può definire a tre dimensioni. I testi di Lello Voce, la musica di Frank Nemola (con alcuni ospiti tra cui Paolo Fresu, Antonello Salis, Michael Gross) e, per la prima volta in Italia, la poetry comics, le tavole del disegnatore Claudio Calia. Lello Voce a left racconta l’opera partendo dal testo iniziale “A mio modesto avviso”, una sorta di manifesto uscito sul Verri nel 2009 e ripubblicato qui. La poesia – scrive – è un’arte che abita il tempo, il suono, la voce, il ritmo, la lingua, il corpo, i segni, il mondo, il desiderio e la speranza e infine la politica e la storia. «Dopo aver scritto quel saggio, ho messo insieme gli ultimi lavori, “Napoletana”, “La rivoluzione fragile”, “Il verbo essere” a tutto quello che già avevo, e ho visto l’unità. Un punto di equilibrio», continua il poeta. «Non metterti a ridere, ma per me rappresenta anche la possibilità di ascoltare la poesia in macchina mentre vai in autostrada. Mi piace la poesia che ti segue, che ti parla senza essere necessariamente intrusiva, che poi si esprime così per formule, per rituali che tornano, per cui, se sei distratto un attimo, quell’immagine torna detta in un altro modo». Lello Voce cantore dell’oggi con uno sguardo dietro di sé. La ricerca del poeta, nato a Napoli ma trapiantato nel Nordest, è questa: «Una poesia che nasce e torna nel corpo del poeta, nella sua vocalità. Quindi anche se può sembrare un’opera di avanguardia, in realtà non lo è, almeno non nel senso che diamo a questa parola. C’è solo un modo di rispettare la tradizione: dobbiamo rinnovarla, ma davvero». Nella sua espressione vocale e ritmica tornano i trovatori, la poesia in musica, la romanza. Il tutto per affermare un principio fondamentale: «La poesia è un bene necessario e un bene comune. La poesia è necessaria a questo mondo, ma non perché possa fare da sé la rivoluzione o suonare il piffero per la rivoluzione, ma perché, in qualche misura, ci dà le parole per poter immaginare questo cambiamento, per poter sognare sogni nuovi, per vedere aspetti del mondo che non potremmo vedere».

Intanto, però, mentre il 21 marzo si celebra in tutto il mondo la giornata della poesia, in Italia viene bistrattata, ignorata. Il festival di Monfalcone, diretto dallo stesso Lello Voce, è stato cancellato e da due anni non si fa più. Un momento di condivisione e di partecipazione collettiva scomparso «perché la cultura viene vissuta come meccanismo per incrementare serbatoi elettorali. Per cui magari tira di più una serata con sfilata di moda con qualche nome della televisione», afferma Voce. «Ma le politiche culturali non si fanno così, né le puoi lasciare ai privati. Se vuoi che ci sia ricerca – e in poesia è uguale che in biofisica – lo Stato deve essere capace di dare stimoli, di garantire un minimo di nicchia di ricerca. Poi nicchia per modo di dire, io facevo un festival di poesia con 500- 600 persone paganti a sera».

Lello Voce ridà valore all’oralità della poesia, legandola al suono degli strumenti e creando così un’altra cosa che è canto. Il disco di Piccola cucina cannibale è nato in questo modo. Il poeta in sala d’incisione ha registrato i testi avendo come unica base il clic del metronomo. Poi si sono aggiunte le musiche elettroniche di Frank Nemola e gli inserti degli altri musicisti, infine le voci di Paolo Bartolucci (“La piccola madre”) e Maria Pia De Vito (“Napoletana”). Alcuni di questi artisti lo accompagnano nel tour che vede, tra le prossime date, un concerto a Padova il 23 marzo e uno a Milano il 30 marzo. Ma come avviene la ricerca sul suono? «La parola si è arricchita, la musica è diventata più complessa, la poesia si è temperata nel senso che si dà all’acciaio, affilata», racconta Lello Voce. «La parola deve riuscire a rapportarsi in modo diverso con il suono, deve accordarsi nel senso musicale, trovare un contrappunto. Non è accompagnamento quello tra la poesia che viene scritta prima e la musica che segue dopo. Ciò che noi eseguiamo in musica è la traduzione della musica che è dentro la poesia».

Passiamo ai testi. Quelli di “La rivoluzione fragile” sono emblematici, un segno dei nostri tempi difficili. «Il nostro problema adesso è che non abbiamo più un soggetto del cambiamento», sostiene Voce. «Questo cambiamento può essere una rivoluzione leninista? Non credo, credo che la rivoluzione debba essere fragile, assolutamente disponibile ad ascoltare con la proposizione di valori, e al tempo stesso affilata, con la capacità di chiedere “l’essenziale, tutto e subito”». E l’essenziale è «il nocciolo del nostro essere esseri umani, quello tu, potere, non me lo devi toccare, non voglio più di quello, ma quello per favore lascialo stare. Io credo che invece qui stanno mettendo in discussione proprio questo. Continuamente». Ed è per salvare questo nocciolo che la poesia è necessaria. «Dimmi se senza parole non sembra di morire», chiede il poeta. E la risposta è facile. è per salvare questo nocciolo che la poesia è necessaria. «Dimmi se senza parole non sembra di morire», chiede il poeta. E la risposta è facile.

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