Piccola cucina cannibale
di Massimiliano Manganelli

alfabeta2, [alfa +] 9 maggio, 2012 9 maggio 2012 02. Piccola cucina cannibale
Piccola cucina cannibale <br> di Massimiliano Manganelli

Negli «appunti di poetica ragionevolmente sentimentali», un testo già apparso sul «verri» tre anni fa che apre il libro, Voce lancia un guanto di sfida alla critica. Se oggi la poesia è «un’arte della voce, del suono, del corpo» che interagisce con «altri media e altre arti», la critica è invece ferma a categorie strettamente legate alla letteratura, non ha rinnovato i propri strumenti per intendere appieno una poesia come questa. Insomma, afferma Voce, non si è ancora trasformata in «critica poetica».

La sfida – che non si può non raccogliere – non è contenuta soltanto nelle dichiarazioni d’apertura, bensì anche e soprattutto in Piccola cucina cannibale nella sua interezza. L’oggetto che ci si ritrova fra le mani è infatti difficile da definire (chiamarlo libro sarebbe riduttivo), perché frutto di un lavoro plurale: in copertina, accanto al nome di Lello Voce, figurano quello dell’antico sodale Frank Nemola, compositore delle musiche racchiuse nel cd allegato, e di Claudio Calia, autore dei fumetti che costellano il libro. In questi la grafica presenta un tratto duro e incisivo che «traduce» i versi; vi appare spesso la figura dello stesso Voce, munito di microfono e leggio, quasi a sottolineare la centralità del poeta nell’intera operazione. È il poeta nella sua funzione di figura pubblica, nel «circolo di una comunità», il quale mette in gioco la propria corporeità, che è poi uno dei tratti salienti della scrittura poetica di Lello Voce.

Perché la poesia, appunto, non è più pensabile soltanto vincolata alla pagina: il verso risponde indubbiamente a esigenze ritmiche e foniche, ma è innanzitutto – parafrasando una vecchia ed efficace formula di Alfredo Giuliani – verso secondo il respiro. Di qui la necessità, per la poesia, di uscire da sé, di aprirsi il più possibile verso altre forme espressive, di recuperare la propria congenita oralità. Il libro, insomma, non basta più, deve trasformarsi in qualcosa d’altro. In opera multimediale, nella quale la poesia funge da motore principale; non recupero della vecchia Gesamtkunstwerk (tutt’al più si potrebbe parlare di Gesamtdichtung), bensì naturale esito di una poesia quale «arte plurale», non più circoscrivibile al singolo territorio della parola.

Tutto questo, si badi, non esprime sfiducia nella parola; anzi, è esattamente il contrario, giacché la parola ne esce valorizzata al massimo grado: «dimmi / se senza parole non sembra di morire». E Voce dà fondo a tutte le risorse della parola, dalla rima interna alla paronomasia, figure di suono che implicano l’amplificazione della parola medesima. Come si intende anche dall’ascolto del cd (nel quale, detto per inciso, Voce raggiunge il risultato più maturo nell’interazione con la musica), il tono generale di questa scrittura poetica è quello del discorso pubblico, contrassegnato tanto dal continuo ricorso all’allocuzione, quanto da un’intrinseca qualità politica.

Per comprenderlo si leggano, a titolo di esempio, Rivoluzione fragile o il Lai del ragionare lento, dove è scritto: «le parole sono il ritmo della riscossa / insulto autismo acre che dà la scossa». Quasi ovvio, dunque, l’incontro con la canzone di protesta, che si concretizza in una notevole rilettura, anzi nella «poetry dis/Cover», della Canzone del maggio di De André. Ma tutto è oggetto di discorso pubblico, anche l’amore, messo in scena in Napoletana (serenata a dispetto). È un amore però, dice Piccola cucina cannibale, che «non fa rima / con cuore ma con il rombo del dolore». Altrimenti sarebbe falsa poesia.

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