Scherzo lagunare

19 novembre 2003 Racconti brevi
Scherzo lagunare

*Le Prigioni sono nate col gran Palazzo. Nel suo cuore, da sempre. O meglio sopra e sotto, quasi che il Doge le volesse materasso e coperta a proteggere i propri sonni. E quelli della Serenissima Repubblica. Sopra e sotto. I Piombi e i Pozzi... Io ai Pozzi ci sono arrivato quasi sette secoli fa, anzi più che arrivato ci sono nato assieme, me li hanno costruiti attorno i Pozzi e il gran Palazzo anche, su su fino ai Piombi, alla Toresea... Me lo ricordo che era ancora un castello, il gran Palazzo, e io avevo la mia cella e la mia cella aveva una finestra che dava sul canale, una porta e una fessura in alto, di fronte a una grande apertura del piano superiore, da dove entrava il sole che veniva dall’Isola di San Giorgio e nel cielo qualche volta c’erano uccelli, nuvole, stelle e i lampi d’ogni fortunale. Poi, dopo il primo incendio, ricostruirono tutto e un giorno, al risveglio, m’accorsi che m’avevano rubato il giorno e che avevano murato tutto intorno a me, tutto tranne quella minuscola fessura in alto, da dove ancor oggi sento il vostro scalpiccio sordo, indifferente, di umani liberi che camminate sul mio cielo di lastre di pietra d’Istria. Di me, che sono diventato la pietra stessa, la sostanza delle prigioni intorno a me...

*Che non sarei morto, che non sarei più morto l’ho capito quando è passato il dolore per fame e sete e non il pensiero. Sepolto com’ero, sentivo col vibrare della pietra delle prigioni, m’ero fatto io stesso pietra, sasso dei pozzi, muro della mia stessa galera... Nessuno mi ha mai più cercato, nessuno dei miei giudici, parenti, a-mici, aguzzini... nessuno... Si sono dimenticati di me... Io non mi sono dimenticato di loro e nel buio della mia cella murata, ho seguito i loro suoni, che la vibrazione por-tava sino a me... i loro suoni e i suoni della loro prigione, per secoli, fino a che ai lamenti dei prigionieri si è sostituito il chiacchiericcio inane di umani turisti, solo appena un po’ più liberi...
Le venature fibrillanti della pietra m’hanno portato i suoni e le strida, gli schiocchi e i soffochi di secoli di reclusione e torture. I cigolii della ruota, il clangore delle serrature, delle porte sbarrate. Mi sono fatto di sasso e ferro, come la mia gale-ra, memoria viva, silicea, vibrante delle prigioni. E ho imparato che la terra e le pie-tre possono portare i suoni da lontano, da molto lontano...
Come il tonfo secco della mannaia che staccò nel cortile del gran Palazzo la testa di Marino Faliero, Doge traditore, amico del popolo... Il tonfo sordo della testa nel paniere e il brusio della folla sulla Piazzetta, dove fu esposto il capo mozzato, con gli occhi aperti per lo stupore e la desolazione d’aver perso per sempre il proprio tronco...

*Godo della vita lentissima dei minerali, della pietra d’Istria di questi Pozzi, del decadere quasi immobile delle lastre dei Piombi, abbaini da tortura che s’arrampicano fin sulla testa del Gran Doge, Re di questo Carnevale infinito nostro.
Ha fatto costruire le nuove prigioni, il Gran Doge. Pozzi e Piombi gli son sembrati inumani, poco al passo coi tempi, e poi c’era bisogno di spazio, nuove carceri per prigionieri sempre più numerosi, si sa è la civiltà, il progredire della legge... Ha commissionato l’opera al maestro Antonio Da Ponte. Che fossero dotate di celle larghe e grandi finestre, perché il sole, suprema ed estrema medicina della povertà, vi entrasse con comodo. Frate Faber, tedesco di Ulma, ne è rimasto stupito, ne ha cantato le lodi.... Ma non è cambiato nulla in realtà... Le prigioni belle, quelle uma-ne, in fondo servono solo a giustificare, a discolpare quelle vecchie, buie, strette, come i Pozzi. Lo sa questo il Gran Doge che certo ha costruito le prigioni nuove, ma poi si è tenuto stretto quelle vecchie, coperta e materasso dei suoi sonni, i Piombi e i Pozzi... Hanno tirato su anche un bel ponte per collegarle, che si capisse subito che erano la stessa cosa, quelle vecchie e quelle nuove. Tutto chiuso, beninteso, diviso in due corridoi separati, con due finestre per ogni lato: un ultimo lampo di luce verso S.Giorgio, replicato prima del buio.Un corridoio per l’Avogaria, l’altro per il Tribunale. E tutt’e due per le prigioni nuove. O, peggio, per le prigioni vecchie, per i miei Pozzi. L’avete chiamato poi Ponte dei Sospiri, avreste dovuto chiamarlo piuttosto Ponte delle Urla, o delle Bestemmie o del Pianto o del Singhiozzo, o Ponte del Silenzio, che so... Invece l’avete chiamato Ponte dei Sospiri... Ma non fa nulla, sono i comprensibili eufemismi della libertà che parla di prigioni.
Quelli che urlavano di più erano gli eretici, che i birri affogavano a Canal Orfano, e le streghe, che invece, prima o dopo, si bruciavano. Forse perché avevano più paura di noi, malfattori veri, comuni, che certe cose uno se le mette in conto. Forse perché avevano le ragioni loro da far valere. Le streghe perché tentavano di spaventare gli sbirri con maledizioni e formule allo zolfo. Ma non erano streghe vere. Io posso dirlo con sicurezza. A nessuno di coloro su cui si abbattevano maledizioni e scongiuri, a nessuno dei loro carcerieri, giudici, stupratori, boia fuochisti, a nessuno di loro, dico, è mai successo nulla... e quindi...
Quelli che tornavano dai tetti, dalla Camera del Tormento, quelli invece erano i più silenziosi di tutti, li avevano già addomesticati ben bene...

*Per costruire prigioni non servono mura o sbarre, basta un segno, un nome, un confine segnato sulla carta, o nell’animo degli uomini. E allora ho riso molto quando ho sentito del Ghetto, ho riso disperatamente, facendo risuonare di singulti tutto il gran Palazzo fin su alle lastre dei Piombi... Gli Ebrei, i Giudei, tutti in ghetto... Vibrava la pietra d’Istria della stentorea lettura del banditore, montato sulla Pietra del Bando, a Rialto, Anno Domini 1516... e sono tenuti ad andare subito ad abi-tare tutti insieme nel quartiere situato al ghetto, vicino a San Girolamo e, onde evitare che circolino di notte, decretiamo che a lato del Ghetto Vecchio, dove c’è un piccolo ponte siano sistemate due porte, che saranno aperte all’alba e chiuse a mez-zanotte da quattro guardie cristiane impiegate a questo scopo e pagate dagli stessi Ebrei... Gli hanno dato segni distintivi da portare sugli abiti, cerchi gialli, o turbanti e cappelli rossi o gialli: ...che i cristiani possano riconoscerli immediatamente, gli assassini di Cristo, i giudei... Di padre in figlio, costretti a pagare i propri carcerieri... E’ legge della Libera, Serenissima, Cristiana Repubblica di Venezia...

· Nelle prigioni non s’incarcera l’uomo, s’incarcera il suo tempo. Le prigioni sono le usuraie del tempo sottratto ai rei, quasi che la società richiedesse il proprio credito di tempo mal utilizzato ad interessi esorbitanti. L’uomo ripaga in tempo ciò che ha sottratto in denaro, in vita, in felicità all’altro uomo, ma l’altro non godrà della sua sofferenza, non guadagnerà il tempo sottratto al reo - poichè i crediti con gli altri umani sono in realtà inesigibili, e i debiti inestinguibili - e la sofferenza dell’altro sarà una sorta di spreco rituale, uno scongiuro supplementare contro il Moloch del tempo che scorre, della vita che si fa morte, comune fine e fine comune d’ogni nostro affanno. Poiché tutto, anche la pietra d’Istria e le prigioni, e questa mia vita minerale, tutto avrà una fine. Il tempo dato è stabilito, è moneta che non si compra e che al massimo è concesso sperperare... E io dico, allora, che un prigioniero ha il sacrosanto diritto di fuggire, di sfug-gire al mio destino immobile di incarcerato che s’è fatto della sostanza minerale stessa delle sue prigioni, ergastolano in cristalli e quarzi, ospite eterno dell’ossidiana e della pietra. Ha fatto bene il gentiluomo di Seingalt, Messer Giacomo Giovanni Casanova ad andarsene via su per i tetti con l’aiuto dell’amico suo il prete Balbi, ha fatto bene a vederle per una volta dall’alto, da sopra, da fuori, le lastre dei Piombi. Gli hanno anche aperto la porta, quando l’hanno visto lì, che si sporgeva da una finestra, ancora imprigionato nel gran Palazzo chiuso e sorvegliato per la notte. Ricordo ancora lo scalpiccio affrettato dei suoi passi, l’affanno dei tacchi che risuonavano nella Sala Quadrata, poi giù per la Scala d’Oro. L’hanno scambiato per un diplomatico rimasto innavvertitamente chiuso a Palazzo. La povera guardia chioggiotta ha spalancato le porte al Sior... La beffa di Bertoldo all’incontrario... Ha fatto bene, lui che poteva, che era nobile, a sgusciar per Porta della Carta e, gondola gondola, via, fuori laguna, fuori Venezia Serenissima... Uno come me, l’avessero visto affacciato a una finestra del gran Palazzo, lo avrebbero sgozzato lì per lì, senza darsi nean-che la pena di riportalo su nell’abbaino suo, ci sono troppe scale da fare fin su, ai Piombi...

* Nota storica: I Piombi e i Pozzi erano le prigioni annesse a Palazzo Ducale, sede del Governo veneziano. I Piombi erano posti in alto, sotti i tetti ricoperti da lastre di piombo; i Pozzi, invece, erano a piano terra, sotto la Sala dell’Avogaria. Le nuove prigioni furono costruite accanto a Palazzo Ducale e furono terminate nel 1610. Il ponte costruito per unire i due edifici è il celebre Ponte dei Sospiri. Dai Piombi, nella notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre fuggì, con una rocambolesca eva-sione, Giacomo Casanova che vi era stato rinchiuso su delazione di tale Zanussi, uomo di fiducia degli Inquisitori, perché accusato di condurre vita dissoluta e di esercitare attività di propaganda antireligiosa.

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