Mi sveglio allegro. E’una bella mattinata piena di sole. Mi lavo e inizio a vestirmi.
Slip, pantaloni, canottiera (qui, a Nord Est, il mattino è ancora abbastanza freddino e io inizio a in-vecchiare) camicia, calzini, scarpe, cinta, giubbotto leggero, berrettino a visiera…
Sì, è davvero una bella mattina…. Mi guardo allo specchio soddisfatto… E mi passa tutta l’allegria…
Mi rendo conto che sono tutto ricoperto di marchi, sono una griffe semovente, una pubblicità bipe-de. Un’imitazione, nemmeno troppo malriuscita, della tuta da gara di Schumi.
Marchiato il giubbotto, davanti e dietro (via il giubbotto!), marchiato il cappellino giusto sopra il frontino (via il cappellino!), marchiata la camicia, davanti e sulle maniche (via la camicia!), mar-chiata la cinta sulla borchia e sulla punta metallica (via la cinta!), marchiate le braghe sulle tasche posteriori e davanti, sul mini-taschino (via le braghe!), marchiati i calzini (via i calzini!). Marchiati perfino gli slip, proprio davanti, proprio lì! Via gli slip!
Sono tutto nudo davanti allo specchio e così riprendo un po’ di fiato e mi sbollisce un po’ di rabbia! Mi sento di nuovo un uomo e non più un cartellone parlante, uno spot androide…
Avrei tanta voglia di uscire così, alla faccia di tutti i marchi d’abbigliamento del mondo. Velopen-dulo al vento, solo per il gusto di lasciarli con un palmo di naso…
Io non ho nessuna voglia di fare pubblicità a chicchessia! Pensare che uno dei miei sogni più riposti è quello di incontrare in treno, che so, Monica Vitti, o il fantasma di Gasmann, salutare compito e poi chiedere, con aria diabolica, se è proprio lui l’ectoplasma del famoso attore che promuoveva con colta arguzia quell’onestissimo istituto bancario, proprio lei l’impegnata e coltissima attrice che fa la pubblicità di quell’ottimo caffè, …
«Bevo solo quello, ho depositato lì tutti i miei risparmi! Io la seguo sa, so tutto delle sue per-formance artistiche più famose e di qualità…»
E poi stare a vedere la faccia che fa, come cantava Jannacci…
Corro in camera e inizio a mettere tutto a soqquadro, cassetto dopo cassetto vola tutto via: bianche-ria intima, vestiti, soprabiti e accessori… Niente da fare, non ce ne è uno solo che non abbia la sua brava griffe pubblicitaria dislocata in posizione strategica. Eppure non compro certo abiti di alta moda. Sono un cliente affezionato di jeanserie e discount vari. Frequento assiduamente tutte le ban-carelle dei mercatini rionali. Ma non c’è un capo solo che non sia infetto dal virus della pubblicità. Marchi dappertutto. Mio malgrado, se non voglio essere incriminato per atti osceni in luogo pubbli-co, non mi resta che fare da veicolo pubblicitario ad aziende che nemmeno conosco e dei cui pro-dotti spesso avrei più da lamentarmi, che da tessere le lodi. E mi sento violentato. Messo all’angolo. Ma la SIAE che fa? Troppo impegnata a perseguitare la distribuzione indipendente d’arte e cultura?
Mi incazzo e allora provo a cancellarli via, a strapparli, a nasconderli… Nisba. Chi ha ordito il tra-nello sapeva quel che faceva. Tirare via il marchio significa danneggiare irrimediabilmente l’abito. E allora penso che almeno dovrebbero pagarmi, visto che lavoro per loro. Non come Schumi, certo, né come la Vitti, o Gasmann, ma qualche lira avrei diritto ad averla anch’io, tutti noi.
E invece ce ne andiamo in giro tronfi e truffati a mostrare il nostro marchio in giro per il mondo. Fieri di essere stati trattati come bovini di allevamento, come banner Internet, come cartelloni: il mio marchio più di tendenza del tuo, la mia griffe più figa della tua. Lavoriamo a gratis e ne siamo pure fieri…
Deliro? Forse, ma, per intanto, se tra voi, incliti lettori, ci fosse qualche avvocato mefistofelico, qualche leguleio causidico, non vorrebbe mica fornirmi un parere legale sulle questione? Potendo, io farei causa a tutti i produttori d’abbigliamento del mondo. Vanto crediti milionari. Mi faccio il culo per loro, che mi piaccia o meno, da più di quarant’anni!
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