C’è un uomo in Italia che dice di aver inventato la contestazione. Proprio così: inventato. E da un certo punto di vista non si può dargli torto, perché quando Melchiorre Gerbino, è questo il suo nome, di ritorno dalla Svezia, nell’ormai lontanissimo 66, fonda con Vittorio Di Russo l’indimenticabile Mondo Beat lo fa in un’Italia ancora sonnacchiosa e pronta strillare scandalizzata nel leggere sulle colonne del Corriere della Sera la singolare storia di Di Russo, tra i fondatori del movimento provos olandese, scacciato da Amsterdam e giunto Roma per essere sbattuto di filato in guardina. Ma ad attendere Di Russo non c’era solo la Polizia, c’era anche Gerbino ed è dall’incontro di questi due capelloni, anzi ‘barbudos’ come si diceva allora, che nasce il primo capitolo di quella contestazione che poi, con caratteristiche certo cambiate, giungerà sino al 68, al 77. Ma a voler stare alla filologia tutto comincia proprio con Di Russo, Gerbino e il loro Mondo Beat.
Come stupirsi che proprio al singolare siciliano, artista, leader della contestazione, scrittore, istrione sia dedicato l’ultimo dei volumi della trilogia che uno dei più intelligenti e sensibili tra i nostri ‘agitatori culturali’, Marco Philopat, ha consacrato a ricostruire i momenti salienti di quella che lui definisce la generazione x, quell’insieme di movimenti ( e di culture) che tra i Sessanta e gli Ottanta ha integralmente dissentito nei confronti di ciò che una volta si definiva ‘il sistema’? Il racconto di Philopat inizia dai punk e dal loro ‘no future’, mirabilmente descritti in Costretti a Sanguinare, per poi proseguire con le gesta della Banda Bellini, ‘quelli del Casoretto’ leggendario servizio d’ordine nei plumbei (letteralmente plumbei) anni Settanta e terminare col capitolo con cui tutto iniziò: per l’appunto Mondo Beat, Barbonia City, la ‘Cava’ dove si riuniva la redazione del foglio ciclostilato, la vita, le avventure i peccati, i Viaggi di Mel, al secolo Melchiorre Gerbino.
Ma quella di Philopat è più di un’operazione strettamente letteraria, è un lungo, lucido percorso d’analisi politica, culturale, antropologica di quegli anni che ci fa intravedere legami saldi anche col nostro presente. Quest’ultimo volume, poi, costruito sull’incrocio polifonico di capitoli-voci, di lingue diverse, è ancor più degli altri capace di coinvolgere il lettore in un turbine di differenti prospettive, di trascinarlo lungo il filo sospeso e teso del dialogo nascosto che sta dietro tutto il racconto: quello tra l’agitatore culturale di ieri – Gerbino – e quello di oggi – Philopat stesso.
Ma poiché I viaggi di Mel è solo l’ultima tessera di un mosaico più ampio, è da qualche questione generale che deve comunque iniziare il mio dialogo con l’autore.
In tutti e tre i tuoi romanzi si parla di conflitti, conflitti aspri, con la morale, con la società e le sue strutture oppressive, col pensiero omologato, con certa ‘politica’. Tutti i tuoi protagonisti hanno, in compenso, un’identità forte, spiccata, hanno sogni e memorie. Che rapporto c’è, che rapporto c’è stato in questi decenni ultimi tra ‘identità’ e ‘conflitto’?
La sinistra radicale italiana non ha mai amato troppo il concetto di identità, preferisce quello meno essenzialista di soggetto. Però non c’è dubbio che i tre cicli eretici di insubordinazione, conflitto e resistenza descritti nei miei romanzi, e vale a dire anni 60, anni 70, anni 80, hanno sedimentato visioni, idee, gusti, valori comuni in una parte crescente della popolazione, e non solo giovanile. E così con la stagione dei centri sociali e dell’hiphop di movimento nei primi anni 90, fino ad arrivare a Seattle, Genova e i no global, si assiste all’affermazione in Italia di un soggetto coeso di ragazze e ragazzi dotati di un ethos distintivo e di progettualità culturale autonoma. Un soggetto che non riusciamo ancora a nominare, ma che indubbiamente c’è e agisce collettivamente. Si tratta di una generazione cosmopolita e libertaria che oppone un violento rifiuto alla destra mediatica e clerico-fascista, ma è anche critica delle forme ereditate della sinistra italiana. Insomma stiamo parlando di quella lunga generazione X che a 30 anni dal 77 e a 15 anni dalla fine della guerra fredda è ancora esclusa da diritti politici e garanzie sociali.
E’ indubbio che ricordare sia fondamentale, ma io credo che questa tua trilogia sia più che un’operazione ‘memoriale’, credo che tu – infine – abbia tentato di dare un’interpretazione generale dei ‘movimenti’, o almeno di alcuni dei ‘movimenti attivi tra 60 e 80, puoi offrircene una sintesi? E quanto è importante, secondo te, che il nostro rivolgerci a quegli anni non sia soltanto un’operazione ‘memoriale’?
L’interpretazione la danno i protagonisti dei tre romanzi partendo dal loro vissuto, io mi sono limitato a tirare i fili, tessere una tela, creare alchimie per fare reagire i ricordi e le affettività con la documentazione storica. Certo la scelta dei personaggi è fondamentale. Il punk di “Costretti a Sanguinare” inizia gridando il suo disperato “No future” ma poi, poco prima di soccombere alla follia, getterà le basi per il futuro consolidarsi della stagione dei centri sociali. Andrea Bellini come uno Spartaco moderno è insofferente a qualsiasi tentativo di addomesticamento, vuole tutto e subito, se ne fotte persino della vita stessa pur di salvare i cento da cafoni di periferia che continueranno la lotta. E infine Melchiorre Gerbino, forse il protagonista più complesso, alieno alla normalità, un dinamitardo della natura umana, tra i primi che nel 1967 si dichiararono cittadini del mondo coniando il termine “contestazione”. Pioniere degli stravolgimenti del 1968 si trasforma in nomade guerriero del libero amore nella spasmodica ricerca di zone temporaneamente liberate in tutto il globo. Rincorso da presunti agenti della Cia, del Mossad e soprattutto del Vaticano, percorrerà vie di fuga sempre più intricate fino a farsi travolgere da inevitabili e devastanti contraddizioni.
A loro modo sono tutti e tre percorsi della sconfitta dove chi si immedesima non può fare a meno di sviluppare una coscienza critica cogliendone gli errori e le genialità… Un esplicito invito allo scoprire se stessi in un viaggio alle origini di quel soggetto di cui parlavamo sopra… “Strappatevi la cravatta dal collo e il sacrificio dallo zuccone e viaggiate! Viaggiate e viaggiate ancora… Parola di Melchiorre Gerbino”.
Ma insomma chi è Melchiorre Gerbino?
Un critico letterario un anno fa mi ha detto: “Ma veramente vuoi fare un lavoro su un poveraccio del genere?” Vorrei ricordare a tutti coloro che disprezzano il protagonista dei “I Viaggi di Mel” che attorno alla metà degli anni 80, cioè in pieno riflusso conformista, e vent’anni dopo “Mondo Beat”, Melchiorre Gerbino fece dimettere due sindaci di Calatafimi in odore di mafia, grazie alla sua grande capacità affabulatoria, con una serie di comizi/monologhi autogestiti nelle piazze siciliane… E lo fece da solo! Con la stessa audacia con cui inneggiò al pacifismo e all’amore di gruppo in una grigia e catto-comunista piazza del Duomo del 1966 infastidita dalla “Zanzara” del Parini. A costoro direi anche che la recente conversione all’Islam del Gerbino è frutto di un’ennesima fuga dagli agenti del Vaticano sospinti da una nuova ondata di integralismo cattolico che regna oggi nel mondo…
Nella tua trilogia, “I Viaggi di Mel” è quello più denso di documenti storici, quasi che in certi casi le carte parlassero da sé, senz’altro bisogno che il romanziere si limiti ad accompagnarle per mano sino alle soglie del libro. L’impatto, probabilmente per il forte coefficiente estetico dei materiali presentati, è notevole: com’è nata questa scelta secondo me felicissima e quanto c’entra il fatto che Gerbino è certamente un ‘personaggio’ non addomesticabile, che vuole raccontarsi, più che essere raccontato?
Sicuramente il conflitto tra me e Melchiorre è stato a tratti aspro, e credo di essermi conquistato la sua fiducia grazie alle tante ore ed esperienze che abbiamo vissuto insieme, tra la sua piccola residenza nella campagna del trapanese, le barriere coralline del Madagascar, e a Milano in casa mia o in ufficio. Ma a parte “La Banda Bellini”, dove il materiale iconografico avrei potuto trovarlo solo in questura, a causa della riconosciuta abilità del Casoretto a sfuggire agli obiettivi, di solito mi piace fare uscire i contenuti dalle pagine di un libro, proprio come era intento delle prime punkzine con le quali, un tempo, mi cimentavo. D’altronde il modello punkzine domina in miliardi di siti nella Rete e il libro deve essere capace di esplodere nella quotidianità. Mi piace concepire le presentazioni come happening, coinvolgere tutte le arti della comunicazione. Quest’ultimo libro è accompagnato da una mostra su “Mondo Beat” con l’aiuto dello sterminato archivio di Ignazio Maria Gallino; Francesco Galli, un amico regista, ha realizzato un documentario dal titolo “Mondo Mel”, e poi attori e musicisti interpretano i testi e i climi degli anni Sessanta, Cyberone di Spazio Petardo associato a Bob Scotti, un diggei beat, alla consolle del trip to the freaky era, per fare ballare i neobeatniks in ognidove.
Tre romanzi di successo, tre romanzi che vendono con una piccola casa editrice la ShaKe, che resiste ostinata alla globalizzazione editoriale. E tu ti ostini a pubblicare da un ‘piccolo’, dando un esempio delle scelte che molti dovrebbero fare. Questo significa che anche i piccoli possono diventare visibili? Che anche per chi non dice sempre sì esistono quote di mercato?
Credo che le piccole case editrici siano dei veri e propri centri di ricerca ben collegati con il territorio, e siccome preferisco definirmi agitatore culturale piuttosto che scrittore la mia collocazione in una grande azienda mi sembra alquanto improbabile, anche se non escludo a priori la possibilità di provarci. Qui in Italia ci sono degli esempi ben riusciti, il rapporto tra Einaudi e Wu ming lo dimostra. Però si deve capire l’importanza delle piccole case editrici nel ruolo della formazione, luoghi di frontiera tra la strada e un impiego nell’ambito culturale, ammortizzatori sociali nel definire e dare un nome alla nefasta influenza dell’attuale società dello spettacolo in centinaia e centinaia di giovani illusi.
La ShaKe è da vent’anni una struttura editoriale a servizio delle più svariate anime del movimento, in prima linea nel cercare di decodificare il presente, esattamente come Primo Moroni ci insegnò alla fine della grintosa stagione del punk.
Poi se mi parli di quote di mercato, non so proprio cosa dire. Se penso a tutte le innovazioni che la ShaKe ha regalato, praticamente gratis, dovunque e a chiunque senza mai una volta potere stare tranquilla dal punto di vista economico, mi viene solo da ridere. Ma qui si ritorna al problema della generazione x che produce grande creatività dal basso ma è marginalizzata in politica e precarizzata al lavoro. San Precario è un’icona che almeno a Milano ha funzionato parecchio nell’aggregare le spinte caotiche e dispersive del malessere sociale. Melchiorre Gerbino non sarà mai un santo, questo è chiaro, ma alle volte le più bizzarre utopie sono attrezzi potenti per smuovere l’immaginario…
Marco Philopat,
I Viaggi di Mel
In allegato Storia documentata di Mondo Beat a cura di Melchiorre Gerbino
ShaKe editore