Aveva ragione Montale: al peggio non c’è mai fine. Non bastasse il cascatone in Senato di qualche tempo fa, non fosse stato abbastanza il dodecalogo di Prodi in versione Mosè, da cui, come per incanto, sono scomparsi DICO, legge sulle droghe, conflitto d’interessi, revisione delle politiche sulle servitù militari, con la susseguente e correlata apparizione subitanea e miracolosa della TAV e della controriforma delle pensioni, ecco che arriva questo sproposito della “maggioranza variabile”, uno sproposito che è ancora smilzo se a pronunciarlo è Giuliano Amato, detto Dottor Sottile, ma che diviene addirittura obeso se a strizzargli l’occhio è un comunista, come si dice ‘radicale’, quale il Presidente della Camera, Fausto Bertinotti. Eppure, all’indomani dello scivolone, a sentir la sinistra di questo governo mancino, non c’era da temere: nessun arretramento al centro, anzi avanti tutta (su tutto) con rinnovata lena. Cosa significa questa svolta? Che prossimamente scambieremo Rossi e Turigliatto con (a seconda delle circostanze) Follini, Andreotti, De Michelis, o addirittura Casini, uno che, col cognome che ha, non dà certo garanzia di chiarezza? E poi cos’è una maggioranza variabile? La versione postmoderna del trasformismo? O l’ultimo atto di un esecutivo che si esprime in subappalto e, se proprio le riforme non può farle in proprio, le affida ad altre maggioranze, o addirittura, se non può far le sue, affitta, magari interinalmente, quelle altrui? Ma se proprio bisogna cadere, non ci sarebbe più gusto a farlo con dignità, magari a colpi di fiducia?
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