Sior Ministro (giambo con rime equivoche)

«Artisti che accattoni» ha scritto venerdì scorso il ministro dei Beni Culturali.
Nell’articolo, ospitato da un quotidiano, l’autore ha lanciato accuse e insulti
a registi, attori, cantanti italiani, li ha
definiti «servi» (citando Menandro),
«schiavi e proni», dediti al «servaggio»
e all’«accattonaggio». Il motivo di tanto astio? Il calore che gli artisti in que-
stione avevano dimostrato al Presidente della Repubblica in occasione della
Giornata dello Spettacolo.
Nonostante nell’articolo l’autore
abbia tentato di usare un linguaggio
«alto», le sue erano parole non adatte a un ministro e neanche a un poeta, quale si fregia di essere . Al poeta ministro replica qui, su nostra
richiesta, un altro poeta. Che gli risponde per le rime.


Lei cita Menandro, Sior Ministro, e cerca di convincerci che
chi, come Lei,
liberamente serve, servo non è
(o non capisco e Lei intende, addirittura,
d’averci liberato, servendo Lei,
dall’esser servi noi?)

Mi dia ascolto Lei che, da Maestro, si genuflette e serve:
non serve
a nulla perder la pazienza.
Non è Sua colpa (e non è colpa nostra)
se ciò che vuole fare
poi non Le riesce:
povero Poeministro: in versi, o in leggi, Le saltano gli accenti,
Lei non è nato per poelegiferare, ma per potere
le estremità dorate del Potere
con libertà baciare.

Con l’arte Lei non c’entra.
La lingua chez soi ha altro scopo.
E l’arte L’ha in ripugno….
Io sono guitto, giullare ed accattone,
l’ammetto, è vero,
infine me ne vanto.
Accattone come Francesco, si ricorda?
Che, accattonando, versi fece migliori assai
di quelli Suoi e Regola efficace
ché meglio sarà sempre, creda, il mio elemosinar
del Suo Elemosiniere.

Lasci stare Menandro, Sior Ministro, ché infine
abolì il Coro.
Lasci stare Menandro, ché il Greco disse anche:

nessun onesto mai si arricchì in breve
(mi comprende?).
Lei non si genufletta, Sior Ministro, più non lo fa faccia,
che già lo fa da tanto,
che non fa altro: dia retta a me,
ascolti il guitto trovatore…

Lei non si genufletta: piuttosto lasci stare,
si dimetta.

(*)Una rima equivoca è una rima che utilizza parole di uguale suono, ma significato diverso.
E’ stata di uso comune presso poeti-cantori girovaghi e ‘accattoni’ come i Trovatori provenzali, da Arnaut a Girauld.

Lello Voce – Poeta