Noterelle dai luoghi del Carogna-Virus

Noterelle sul tempo del Carogna-Virus / (bonus tracks)

Il fatto non cammina così, signor Simplicio:

sono alcuni suoi seguaci troppo pusillanimi, che danno occasione,

o, per dir meglio,

che darebbero occasione, di stimarlo meno,

quando noi volessimo applaudere alle loro leggereze.

(G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi)

Tutti a dire della violenza del fiume in piena

 nessuno che parli della violenza degli argini che lo contengono

(B. Brecht)

Per chi suona la campana?

In un passaggio del suo La giornata di uno scrutatore Calvino fa dire al suo protagonista, che guarda perplesso le immagini di giovani uomini prestanti e nerboruti e giovani donne belle, in forma e sorridenti, riprodotte su alcune tessere del PCI: «Non sarà che il comunismo è fatto per i sani?».

Cito a memoria, naturalmente.

La frase mi è tornata in mente recentemente, ripensando all’atteggiamento della Sinistra italiana nei confronti delle politiche sanitarie (e non solo sanitarie) adottate dal governo Conte prima e da quello Draghi poi per combattere la pandemia.

La sua adesione totale (e vidimata dal fatto che lo scellerato ministro della Sanità sia quello più a sinistra di entrambe le compagini governative), un’adesione acritica, fideistica, direi sciocca e, per l’appunto, sinistra, ad ogni e qualsivoglia iniziativa presa dall’esecutivo è stata strabiliante, con il risultato di abbandonare alla ‘falsa opposizione’ di una congerie di destre più o meno ‘complottiste’ e violente, la gestione di un malcontento che aveva ed ha ben ragione di essere.

Si è aperta, così, una prateria per le destre più estreme e più ottuse, nel calderone delle quali viene ricacciato dalla sinistra progressista chiunque provi un’analisi critica, ma fondata e democratica, di quello che sta accadendo, con conseguenze nefaste: che senso ha abbandonare nelle braccia di figuri che mescolano razzismo, complottismo e deliri mistici, quanti, pur non riconoscendosi nelle scelte di quella che è un’evidente maggioranza nel paese, vorrebbero un confronto civile, aperto, libero?

In democrazia decide la maggioranza, certo, e la minoranza si adegua alle decisioni prese, ma ciò non toglie che quella minoranza continui (deve continuare) ad avere il diritto di esprimere il suo dissenso e ad avere lo spazio e i canali per farlo.

Che senso ha lamentarsi delle reazioni sempre più violente di chi sino al quel momento abbiamo insultato con aggressività, a cui ci auguriamo vengano negati diritti essenziali (sanità, scuola, lavoro), che vogliamo perseguito, escluso, bandito?

Una vera Sinistra avrebbe precisamente il dovere di mantenere aperti gli spazi di confronto e dibattitto civile e democratico, non quello di unirsi al coro degli aizzatori.
Al di là dell’errore (e dell’orrore) ‘politico’ – che è evidente – ciò non le ha permesso di vedere come la pandemia fosse in realtà una sindemia, le ha impedito di cogliere, cioè, quanto di politico ci sia in tutta questa drammatica vicenda. Forse anche perché buona parte delle responsabilità politiche di quanto è accaduto grava anche sulle sue spalle.
Se qualcuno aspettava di sentire i rintocchi delle campane a morto per le forze di sinistra in Italia, bene, si può dire con sufficiente certezza che essi sono risuonati forti e chiari.

I saggi che diventano tonti e il caso singolare di un ‘pesce piccolo’

Come tutti sanno gli effetti del maledetto Carogna-Virus sono vari e, a quanto pare, mutevoli nel tempo.

Uno di cui non si parla mai è quello capace di trasformare, in un battibaleno, un Premio Nobel, uno stimatissimo virologo e il più noto ed autorevole filosofo italiano in dei rimbecilliti.

Montagnier, Raout e Agamben si sono così ritrovati dalle stelle alle stalle.

Contro le argomentazioni di costoro si è alzato immediatamente un fitto fuoco di sbarramento e non tanto o non soltanto da parte dei loro colleghi (che potrebbe anche starci, almeno sino a un certo punto) ma soprattutto da parte di uno sciame di giornalisti, opinionisti, politici o presunti tali, stelle e stelline della TV, troll da social media e chi più ne ha più ne metta.

Ad Agamben non è stata perdonata la definizione della CoVid 19 come influenza, anche se di influenze piuttosto cattive già ne avevamo incontrate, ad esempio la A/H 1N1, e anche se, a distanza di mesi, la sua analisi filosofico-politica, fortemente critica di quanto sta avvenendo, tenga bene ed anzi, ogni giorno che passa, appaia sempre più centrata.

Montagnier, invece, è accusato di leso vaccino e dunque, a detta di tale Bassetti, è, letterale, “rincoglionito” e a Raout – definito da alcuni un ‘guru’ (il Direttore e fondatore della Clinica di malattie infettive dell’ospedale di Marsiglia, con anni di esperienza sul campo a combattere l’Ebola, considerato sino a ieri uno dei più importanti virologi viventi!) – viene imputata la testardaggine nel voler applicare un protocollo di cure domiciliari che pure (questo ci dicono i dati clinici, migliaia e migliaia di casi in tutto il mondo), se applicato nelle prime 72 ore, sta evitando con percentuali rispettabilissime l’ospedalizzazione e la morte. E così, notizia che arriva mentre scrivo, Raout viene sollevato dalla direzione dell’istituto che ha creato, proprio per via delle sue posizioni pubbliche a proposito della pandemia.

Ciò che li accumuna (loro e svariati altri intellettuali e scienziati come loro, fino a poco fa autorevoli figure delle loro discipline) è sostanzialmente quello di osare discostarsi dalla narrazione ufficiale e di delegittimarla.

Come sarebbe possibile trasformare una malattia grave, ma che non è la Peste nera, né l’Ebola, con tassi di mortalità sostanzialmente bassi e di letalità contenuta, di poco maggiori rispetto a quelli di tante altre malattie infettive, in un morbo incurabile contro il quale soltanto un vaccino miracoloso può qualcosa, se si permettesse a costoro di parlare e soprattutto di essere ascoltati?

Il pericolo sarebbe quello di smascherare la posta politica nascosta dietro tutto ciò, che non ha nulla di sanitario. Il pericolo sarebbe dover ammettere che tutte le migliaia di morti che questa pandemia ha portato con sé non siano state solo vittime della CoVid 19, ma anche, e in buona misura, dello sfascio in cui versavano e versano, in tutti i paesi cosiddetti ‘avanzati’ (e figuriamoci altrove) le strutture sanitarie pubbliche, la medicina di prossimità, la scuola, i trasporti, l’assistenza agli anziani. Tutti ambiti in cui la privatizzazione selvaggia avrebbe dovuto, invece, portare indubitabili vantaggi.

Nel 1919, per la ormai notissima ‘spagnola’, i fattori socio-economici furono altrettanto decisivi. Ma era, appunto, il 1919, con una guerra mondiale appena dietro le spalle.

Che tanti intellettuali e artisti italiani su questo tacciano, che si limitino a fare da corifei alla vulgata ufficiali, se non sembrasse irrispettoso, verrebbe da definirlo un nuovo ‘tradimento dei chierici’.

In tutto ciò un posto particolare è occupato dal caso Zambon, il funzionario dell’OMS che ha denunciato pubblicamente le pressioni e le censure di alcuni dirigenti apicali della maggiore e più prestigiosa organizzazione sanitaria internazionale sulla sua relazione a proposito della gestione della prima fase pandemica in Italia.

La messe di prove documentali che Zambon ha messo a disposizione di tutti è tale e di tale gravità da risultare irrespingibile, come la tesi finale del ricercatore veneto e cioè la ‘non terzietà’ dell’OMS, il suo dipendere da interessi politici e economici chiari ed evidenti, e questo giù a cascata per quanto riguarda AIFA, ISS ed EMA.

Né è una novità: fino all’altro ieri discorrere di quanto nefasti potessero essere i conversari nascosti e probabilmente illeciti tra potentati economico-politici e vertici della ricerca scientifica era considerato normale ed interessante proprio da quelli che oggi si accontentano del fatto che qualsiasi decisione sia presa in nome di una non meglio identificata Scienza.

È accaduto così che, nonostante l’enormità di quanto denunciato da Zambon e nonostante le sue denunce riguardassero anche membri del CTS, del comitato cioè, che, sostanzialmente, sta prendendo e/o mettendo la firma su tutte le decisioni che stanno coinvolgendo il nostro quotidiano, politicamente (e socialmente) poco o nulla sia successo. Zambon ha venduto, credo, molte copie del suo libro, ma quei signori sono ancora al loro posto e la maggioranza di noi dà loro fiducia quando si tratta di decidere come affrontare la pandemia.

Il tradimento stavolta non è stato soltanto dei chierici, un po’ abbiamo tradito anche noi tutti.

Prevenire e/o curare

Prevenire è sempre meglio di curare? Facciamo pure finta di sì, anche se non è sempre vero.

(Ad esempio: se, per prevenire un virus che ancora non c’è, vado a prelevarne uno che alberga nei pipistrelli e poi lo ingegnerizzo per permettere il salto di specie e lo inoculo in topi ‘umanizzati’, in maniera che, se mai la natura decidesse di fare da sé ciò che noi abbiamo immaginato che lei potrebbe fare, allora noi avremmo già tutte le informazioni che ci servono per sconfiggerlo, la faccenda sembrerà immediatamente più complicata e meno ragionevole di quanto appaia di primo acchito.

Sì, mi riferisco ai progetti di ricerca in corso nel benedetto laboratorio di Whuan, con capitali anche americani, e alla sua direttrice, meglio conosciuta come Bat-Lady).

Ma se non si può prevenire? Si rinuncia a curare? E, soprattutto, come si previene qualcosa che sta già accadendo?
Intanto, visto che noi non si è né scienziati, né medici, sarebbe bello che tutti costoro si mettessero d’accordo su una prima cosa: durante una pandemia la vaccinazione di massa è la risposta giusta? E se è la risposta giusta, siamo davvero capaci di vaccinare tutti gli umani del pianeta che sono circa 8 miliardi, e di farlo in qualche mese, un anno al massimo, per ottenere la famosa, agognatissima, immunità di gregge?

Bene, su questa cosa un accordo non mi pare che ci sia: mentre i tele-virologi  (a dispetto di indici HI a volte risibili e di conflitti di interesse a volte elefantiaci) pontificano dicendo che certo, così è, o vaccino o morte, restano fastidiosi ronzii di fondo, prodotti da una congerie di medici, scienziati, ricercatori, alcuni con HI stellari, che si ostinano, probabilmente in modo pedante, complottista e pedestre, a ricordare che i testi accademici fino a ieri non dicevano affatto così, anzi: tutto al contrario.

In ogni caso, come faremo a vaccinare tutti, se i soldi per comprare i maledetti vaccini ce li hanno solo pochi paesi, né pare giusto ad alcuno (non sia mai detto!) sospendere i brevetti e privare Big Pharma dei suoi giusti e faticati profitti per garantire i quali abbiamo firmato contratti segretissimi, che anche quando sono resi pubblici restano pieni zeppi di omissis?

Ci aspettiamo che un Cristo sotto forma di virologo appaia sul lago di Tiberiade e, dopo pani e pesci, moltiplichi anche le fiale da inoculare?

Inoltre, poiché produrre vaccini a milioni, anzi a miliardi è cosa certamente più complessa che inscatolare pomodori per fare conserve (che, per parte sua, tanto semplice non è: mai vista la linea di inscatolamento di una grande azienda alimentare?) siamo certi di avere strumenti pratici, protocolli di controllo e know-how abbastanza affilati perché non avvenga nulla a un livello di produzione tanto frenetico?

Il sequestro in Giappone di migliaia di dosi di Moderna inquinate da residui metallici di cui parlano oggi, 28 agosto, i quotidiani di tutto il mondo sembra suggerirci il contrario.

Ma, ovviamente, siamo in emergenza e ci sta. In emergenza può starci tutto e il contrario di tutto.

Peraltro, i mai abbastanza lodati vaccini qualche segnale di cedimento lo stanno mostrando: mentre prima si affermava che coprissero dall’infezione con percentuali stellari, tipo 95%, e che fossero sterilizzanti, cioè che impedissero al vaccinato di farsi portatore del virus e infettare altri, ormai da quasi un mese ci si accontenta di dire che al 95% (sempre al 95% per carità) impediscono morte e terapie intensive e sulle loro capacità sterilizzanti avanza dubbi chiunque, persino i tele-virologi.

Certo, la colpa è del virus e delle sue varianti, ma che i Corona virus variassero lo si sapeva da subito, anzi alcuni dei principali sponsor scientifici dei vaccini, quando i vaccini ancora non c’erano, dicevano che non faceva nulla che non ci fossero, tanto, anche se ci fossero stati, sarebbero stati presto messi sotto scacco dalle varianti virali e che la cosa si sarebbe trasformata in un’inutile e già persa gara di velocità contro la mutevolezza della natura.

Perché stupirsi oggi, perché decidere che la colpa sia dei non vaccinati, visto che il virus muterebbe comunque e i vaccini salvano dalla morte, o dalla malattia grave (e chi scrive ne è entusiasta!) ma non dal contrarre la malattia e diffonderla e anzi, ad occhio, producono pletore di portatori sani, sguinzagliati ovunque e con la falsa certezza di essere sani e non dannosi per gli altri?

E se con i vaccini stiamo messi come sopra, perché escludere, di principio, qualsiasi terapia domiciliare? Perché non dare credito alcuno ai dati clinici e demonizzare, a volte con patetiche operazioni truffaldine, come quella che The Lancet ha riservato all’idrossiclorochina, ogni tentativo di intervenire clinicamente sulla malattia?

Che senso ha un protocollo di cura (tachipirina e vigile attesa) che di fatto impedisce qualsiasi cura sino al momento dell’inevitabile ricovero in ospedale, visto che uno dei problemi maggiori della CoVid 19 è proprio la sua capacità di saturare la capienza di strutture sanitarie di per sé spesso già periclitanti?

Né è chiaro, ad un ingenuo incompetente come me, per quale ragione, da una parte si sia impedito ogni tentativo di utilizzare il cosiddetto plasma iperimmune e si sia sgambettato ogni tentativo del povero dottor Di Donno di creare un sistema efficiente di raccolta, mentre, dall’altra, si osannava e si osanna ogni notizia a proposito degli anticorpi monoclonali, che sono composti di sintesi che fanno il medesimo lavoro, ma con l’indubbio pregio di costare migliaia di volte di più.

Che del suicidio di Di Donno si sia parlato così poco, credo fornisca, però, buona parte della risposta.

Forse dietro c’è anche un conflitto tra la medicina che si basa sui Big data, sponsorizzata da Big Pharma e dalla ‘Scienza’, e quella che si basa sulla clinica, cioè sull’esperienza concreta di migliaia di terapeuti, che certo sono tecnici e non scienziati (anche la statistica è considerata una scienza, qualcuno afferma che lo sia fin l’economia, ma non la medicina) e che dunque alle spalle ci sia lo scontro, ormai dilagante tra scienza e tecnologie?

Sarebbe un argomento troppo lungo per dibatterlo qui, ma certo, oltre a questo, un pensierino forse varrebbe la pena di farlo a proposito del fatto che questa campagna di sperimentazione di massa lascerà in eredità una massa imponente e non altrimenti recuperabile di dati a proposito dell’effettivo funzionamento dei nuovi vaccini a vettore adeno-virale e a Rna Messaggero utilizzabile per realizzare un vecchio sogno: quello del vaccino contro il cancro e contro altre malattie come l’AIDS.

Nulla di male, anzi. Ne saremmo tutti felici, ma perché non dircelo con chiarezza?

O perché non dirci che di cure non se ne può parlare, perché se ci fossero, le autorizzazioni condizionate ed emergenziali date ai vaccini andrebbero ritirate?

Nessun problema, anche se fosse così: la maggioranza ha deciso di scommettere su Pfizer piuttosto che sull’esperienza dei clinici. Ok, ma che almeno sia chiaro, andasse male, di chi è stata la responsabilità.

Insomma, perché si è deciso che delle due strade se ne doveva percorrere soltanto una e l’altra doveva essere sbarrata senza se e senza ma?

Se la crisi è così grave, se il nemico è alle porte, perché non utilizzare tutte le armi che abbiamo, fossero pure un coltellino spuntato, o la fionda primitiva di Davide?

Sarebbe bello ed utile che qualcuno ci fornisse la risposta. O che con altrettale chiarezza ci dicesse che è questione di fede, dogmatica. E morta là.

PS: concordo con il Collettivo Wu Ming a proposito del fatto che la discussione sui vaccini sia, qui ed ora, ‘tossica’ e ‘certamente ‘divisiva’, che essa cioè stia lì, in questo momento per distrarci da faccende ben più gravi, riguardanti le politiche sanitarie e sicuritarie in atto in questo momento nel nostro paese e nel mondo. Quindi ho evitato di argomentare sino in fondo certe mie riflessioni.

Detto questo, però, credo che, a tempo debito, una riflessione seria, realmente scientifica e radicalmente politica sui vaccini, sul loro effetto, la loro funzione ‘simbolica’ e sugli interessi enormi e completamente economici che viaggiano e hanno viaggiato accanto a loro vada fatta. Come sulla gestione della pandemia tutta, senza dimenticare quanto, appena pochi anni fa, ci dicevano Naomi Klein e il suo libro sul capitalismo e la sua gestione delle emergenze e delle catastrofi.

Pena la perdita di senso di ogni analisi schiettamente materialistica.

Datemi un’emergenza infinita e un capro espiatorio e solleverò il mondo.

In effetti la necessità di creare una situazione in cui non si diano vie di mezzo (questo o quello) come la ricerca quasi ossessiva di un capro espiatorio su cui scaricare tutte le responsabilità della faccenda è sempre stata la caratteristica delle politiche adottate per gestire e comunicare la pandemia e – con processo mimeticamente inquietante – anche delle tesi che provavano a contestarle.

Sin dall’inizio, nel 2020, tutto è stato, non a caso, presentato non come un’emergenza sanitaria, ma come una guerra, la guerra contro il virus, un virus che, grazie a una serie di sue indiscutibili caratteristiche  – essere ‘invisibile’, mutevole, difficilmente individuabile, colpire gli innocenti più fragili (gli anziani),  essere stato provocato da una superpotenza nemica, il capital-comunismo cinese, creare sgomento, paura, senso di insicurezza e disperazione, mettere in pericolo quella ‘confort zone’ (la ‘nuda vita’ di Agamben) a cui ogni cittadino non aveva e non ha alcuna intenzione di rinunciare – sembrava aver preso in prestito una serie di tratti caratteristici dell’emergenza precedente, quella creata dal terrorismo, con una sorprendente continuità tra situazioni ed eventi che il senso comune avrebbe dovuto giudicare come assolutamente diversi e non assimilabili.

Peraltro questa guerra si era (e si è) sempre a un passo dal perderla, non per colpa delle eroiche truppe schierate al fronte (medici e infermieri, alcuni dei quali davvero eroici, come quelli che violando le regole hanno effettuato le prime autopsie fornendo alla comunità scientifica una serie di evidenze cliniche che hanno radicalmente mutato l’immagine che avevamo della CoVid 19, altri invece, e va detto anche questo, nascosti in fureria, e  ben protetti dall’imperativo che li rinchiudeva nei loro studi, raggiungibili solo per telefono da dove ripetevano il mantra ufficiale che recitava ‘tachipirina e vigile attesa’, poi chiamare l’ospedale, magari quando era troppo tardi), né dei loro generali ( i ‘Migliori’ del CTS, affiancati da manipoli di ‘contractor’ tele-visibili), quanto piuttosto di una pletora di ‘disertori’, che venivano individuati ora in questa, ora in quella categoria di cittadini.

Prima è stato il turno di quelli che passeggiavano troppo con il cane, poi di coloro che non rinunciavano alla corsa all’aperto, o a una solitaria tintarella su spiaggia desertissima, poi dei milioni che indossavano male la mascherina (tanto all’aperto, quanto al chiuso), per poi passare ai marrani che non avevano rinunciato alle ferie, e planare infine sui giovani, colpevoli di voler vivere la loro gioventù e dunque responsabili della morte dei loro nonni e dei loro genitori a causa del loro disgustoso egoismo: erano loro i soli ed unici responsabili del riacutizzarsi della pandemia in periodo autunnale. Presumo che la cosa si ripeterà in questo fine estate (stavolta a quanto pare saranno i turisti che si sono recati in Sicilia e Sardegna, oltre ai no-vax, naturalmente).

Su tutti costoro si è abbattuto lo stigma di una comunità intera, un attimo prima egoisticamente ed egoticamente disgregata, ora aizzata da flussi incredibili di dichiarazioni e esternazioni politiche e ‘sanitarie’ rabbiose, velenose, aggressive, la quale ritrovava magicamente unità e concordia identitaria nel tentativo di linciare il capro di turno.

Inutile scomodare Girard, direi. Né il Manzoni della Colonna infame.

Questo mentre migliaia di anziani ammassati in RSA tragicamente inadeguate e inzeppate di infetti che non si sapeva dove altro mettere, morivano giorno dopo giorno, mentre si procedeva, un DPCM dopo l’altro, a una sostanzialmente inutile reclusione di massa, si chiudeva la scuola, si focalizzava l’assistenza sanitaria solo sulla CoVid 19 (abbandonando di fatto milioni di altri malati alla loro sorte e privatizzando tutto quello che ancora si poteva privatizzare), in mancanza di respiratori, mascherine, posti letto, tamponi, reagenti, aule, insegnanti, medici, infermieri, trasporti pubblici, medicina di prossimità, attenti solo alla progressione ossessiva dei numeri della pandemia. Senza neanche la capacità di realizzare pienamente i CoVid hotel, versione moderna e suppostamente confort dei vecchi lazzaretti, con la conseguenza di trasformare praticamente ogni infezione personale in una mini-epidemia familiare.

Ma intanto si solfeggiava coesi ed ottimisti, affacciati ai nostri balconi, mentre qualcuno agitava la bacchetta: #andràtuttobene.

Una sola cosa non si fermava e non si è mai realmente fermata, la produzione. Chissà perché.

Il vaccino, con il suo avvento (mi pare il termine giusto), ha sintetizzato e reso completamente efficiente questo meccanismo, grazie a un potere simbolico notevolissimo.  Dal momento in cui abbiamo avuto a disposizione il primo vaccino tutto è cambiato, avevamo la soluzione grazie a un miracolo della scienza (una scienza che fa miracoli dovrebbe inquietare, ma invece ha rassicurato questa vecchia nazione, cattolica sino al midollo) e chiunque si fosse opposto sarebbe stato trattato come merita un traditore al fronte. Fucilazione alle spalle.

È iniziata così la stagione d’oro di mandrie mugghianti di razio-suprematisti di ogni tipo: intellettuali, artisti, militari, nani, ballerini, troll da social, di ogni genere e sesso e ovviamente tele-virologi a frotte, impegnatissimi a comunicare terrore, angoscia, paura, odio, protetti ai fianchi da legioni intere di giornalisti e comunicatori vari. Tutto in nome della Scienza, anche senza spiegare mai in modo convincente perché mai la Scienza avesse scelto per araldi proprio loro e non quegli altri, laureati, dottorati e dotati di pubblicazioni tanto e a volte più di loro, che dicevano cose radicalmente diverse da loro.

Certe teorie sono indiscutibili, prima di tutto le verità scientifiche, anche se non è chiaro chi decida cosa sia una verità scientifica e cosa no, visto che dibattito, dubbio sistematico, intersoggettività sono alla base di quella che definiamo una ‘verità scientifica’ e che è faccenda ben diversa da una verità per fede.

Eppure ciò che si chiede è di aver fede nella scienza, in assoluto spregio del ridicolo e con notevole successo di massa. Come quando ci si ostina a definire ‘missioni di pace’ tutte le guerre in cui andiamo a ficcarci, affamati di profitto e privilegio.

Si dimentica di conseguenza una massa impressionante di riflessioni sulla non neutralità della scienza, sui suoi aspetti politici, si getta via il bambino con l’acqua sporca, che il bambino sia Jervis, Arnao, Szazs, Illich o Basaglia, o tanti altri come loro, che nei decenni appena trascorsi ci hanno ricordato come la salute pubblica, la ricerca scientifica, la sua trasformazione in tecniche medicali siano un problema politico, prima ancora che medico o epidemiologico.

Si è scatenata così un’ondata abbastanza preoccupante di neo-positivismo selvaggio, oggi come ieri lesto a fornire al capitalismo – liberista e altrettanto selvaggio – la zeppa di supposte giustificazioni scientifiche.

Mandrie di ‘progressisti’ affetti da quella che Wu Ming 1 (devo a lui anche la definizione di ‘razio-suprematista’) ha recentemente definito ‘sindrome del foratore di palloncini’ alla ricerca ossessiva ed ossessionata delle ‘bufale dei no vax’, sciami di Gendarmi della Verità Scientifica, che non mancano mai alla fine delle loro operazioni di smascheramento della vigliacca menzogna anti-vaccinale di incitare i propri follower alla vendetta, né di bollare chi non la pensa come loro con questo o quell’epiteto ingiurioso,  si sono scatenati ovunque, provocando fenomeni abbastanza singolari ed inediti, come quello di scienziati (o supposti tali) che passano il loro tempo a insultare chiunque metta in dubbio ciò che loro pensano, ad aizzare le folle al linciaggio di chiunque avanzi dubbi sull’efficacia dei vaccini: sono dei ‘sorci’ che vanno rinchiusi, criminali che non vanno curati, gli va impedito qualsiasi diritto, sin quello all’istruzione, alla sanità, al lavoro.

Burioni, Capua, Viola, Bassetti, Galli, Pregliasco, Crisanti (che non ha esitato a paragonarsi a Galileo), per fare solo il nome dei più noti e stimati, hanno fatto e fanno a gara a richiedere misure sempre più draconiane, consci come sono che il loro share dipende direttamente dal sussistere, auspicabilmente lungo, dell’emergenza.

Lo stigma passa poi attraverso la torsione semantica brutale di alcune definizioni: non soltanto chi pone dubbi su questi vaccini è, tout court, un no-vax, ma è anche un terra-piattista, un complottista, addirittura un negazionista, come se chi non vuole vaccinarsi debba, in qualche modo, necessariamente negare anche la Shoa.

Si ignora che chiedere la libertà di scelta sui trattamenti terapeutici è tutt’altro che una posizione no-vax, al contrario, visto che presupporrebbe la possibilità del singolo di scegliere qualsiasi trattamento terapeutico, vaccini compresi.

Dietro i generali c’è, poi, un esercito immenso di graduati e soldati semplici tutti impegnati ad aizzare le folle, quasi tutti ‘progressisti’, uniti in un coro unanime che osanna all’Auctoritas delle verità scientifiche, lesti a gabellare da ’bufala’ qualsiasi dato o opinione che non combaci con la narrazione ufficiale, incuranti del ridicolo (come quando sottolineano con la matita rossa il supposto errore delle terapie domiciliari che prevedono la somministrazione di antibiotici, berciando che la CoVid 19 è una malattia virale e dunque sarebbero inutili, anche se da decenni qualsiasi medico è pronto a farlo per evitare le letali sovra-infezioni batteriche che possono presentarsi in caso di gravi episodi virali).

Si sentono e si esprimono come se fossero dei Sagredo e invece fanno la figura dei Simplicius, dei mediocri Simplicius, peraltro, visto che al tutto sommato valoroso Aristotele hanno sostituito i twitt irosi e violenti di Burioni, o Bassetti, o le opinioni di Fedez.

Gente che fino a ieri gridava alla catastrofe ecologica se si piantavano pomodori OGM (ed a ragione, a mio modo di vedere) oggi è lì pronta a linciare chiunque non si adegui alle supposte verità scientifiche professate dai loro tutor televisivi (che certamente non avrebbero problemi ad inneggiare a qualsivoglia OGM) a proposito di composti genici come questi, vaccini ben differenti da ciò che abitualmente eravamo abituati a definire tali: come facciano a mettere assieme logicamente le due faccende per me rimane un mistero.

A me paiono terrorizzati, sino al punto da perdere la ragione, mentre a loro paio terrorizzato ed irragionevole io e chiunque come me provi ad avanzare qualche dubbio. Chi ha ragione?

E se, invece, avessimo ragione entrambi? Se davvero la paura come collante sociale fosse divenuta la nostra nuova realtà? L’unica realtà capace di tenere insieme tutti i pezzi di un mondo che sta per collassare su sé stesso…

Il Green pass, la pistola fumante

L’evento più importante di questi lunghissimi mesi di continua emergenza è comunque l’arrivo del Green Pass e la sua obbligatorietà per alcune categorie di cittadini (lavoratori della sanità, della scuola, dell’università, ivi compresi gli studenti). Come è noto il Green pass fu presentato dall’EU come uno strumento che avrebbe permesso la ripresa della mobilità, che insomma ci avrebbe dato più libertà.

Come sempre questa parola, libertà, si presta ad ogni ambiguo misreading, parola passe partout che viene buona sia per rivendicare i diritti che per legittimare i privilegi.

Così, da strumento liberatorio, il Green Pass si è trasformato in qualcosa di ben diverso.

Tutto ciò accade sulla base di una serie di giustificazioni mediche: i vaccinati, in quanto tali, sono considerati immuni e incapaci di infettare. Ma è davvero così?

A quanto pare no, come si diceva prima, visto che, peraltro, anche a coloro che sono dotati di Green pass vengono richieste le stesse precauzioni (mascherina, distanziamento sociale, ecc.) che vengono imposte a chi vaccinato non è. E allora, che senso ha?

Si tratta – a ben vedere – di una misura politica e non sanitaria, con tutte le contraddizioni che ne conseguono.

Parliamo per esempio di scuola e sanità: i due ambiti più colpiti dalla pandemia non a caso sono i primi in cui è stata imposta l’obbligatorietà del Green pass.

Nonostante retorica a fiumi e promesse a cascata, nulla è stato fatto per la scuola, a parte qualche assunzione temporanea e un po’ di spiccioli per nuovi computer e banchi, con e senza rotelle.

Le classi pollaio sono rimaste dov’erano, l’organico di insegnanti, tecnici, bidelli è ancora fortemente carente, nulla si è fatto a livello di edilizia scolastica e così a mettere in pericolo i nostri figli, se non sarà il virus, ci penseranno incendi, terremoti, o robe del genere.

Ma per risolvere tutto magicamente, a detta del Ministro, basterà tenere le finestre aperte, le mascherine ben calzate e dotare tutto il personale di Green Pass.

Non mi pare convincente.

Idem per la sanità: ignorare del tutto la possibilità di stabilire eventuali protocolli di cura (domiciliare e ospedaliera) sembrerebbe aver autorizzato chi di dovere ad ignorare del tutto le condizioni tragiche (e geograficamente fortemente sperequate) in cui versa la nostra sanità pubblica. Tutto può e deve essere risolto dai vaccini, dunque il Green pass per medici e infermieri è misura adeguata e sufficiente.

Stesso discorso vale per i trasporti pubblici, che peraltro impattano in maniera devastante sulla possibilità di tenere aperte le scuole. Non un copeco è stato investito su progetti di trasporti pubblici dedicati a studenti e personale della scuola, anzi, a un certo punto, quando la DAD imperversava ovunque, i trasporti sono stati tagliati e poi, spesso solo in parte, riavviati nelle medesime condizioni.

Ma a risolvere tutto basterà dotare di nuovo i nostri bus di controllori che vigilino sul distanziamento e che, magari, in assenza di obbligo, non saranno neanche vaccinati.

Nel frattempo, l’Università di Trieste, un’università statale, decide che senza Green Pass non sarà possibile sostenere esami neanche a distanza, né si preoccupa di giustificare una decisione tanto bislacca e urticante in alcun modo.

Dal primo settembre, poi, sono scattate le nuove norme sui trasporti, altrettanto singolari.

Esse impediscono ai non vaccinati di prendere aerei o treni ad alta velocità che, certo, sono frequentati giornalmente da centinaia di migliaia di persone, ma poi permettono a chiunque di prendere treni locali, metropolitane, bus, il cui bacino è invece di milioni e milioni di fruitori.

Che senso ha, epidemiologicamente parlando?

Il virus che non ho preso sul treno ultraveloce, mi aspetterà, sornione, sulla metro, o sul bus che utilizzerò per tornare a casa dalla stazione, o dall’aeroporto, e si farà beffe di qualsiasi Green Pass.

Nel frattempo, mentre la stampa di tutto il mondo ci avverte che la Scienza dice che nel tempo la capacità protettiva dei vaccini scende in maniera rilevante, il nostro CTS e il Governo Draghi, con olimpica serenità, aumentano la durata del Pass da 9 a 12 mesi.

Come si vede le giustificazioni mediche ed epidemiologiche che imporrerebbero – in alcune situazioni – il possesso del benedetto QRCode sono piuttosto deboli.

Restano le altre, quelle politiche che invece sono ben più fondate.

Sono le ragioni del controllo sociale e della garanzia – a chi di dovere – di poter realizzare, grazie a questa emergenza, immensi profitti e ovviamente non sto parlando solo di Big Pharma, ma degli interessi immensi legati all’utilizzo dei fondi del PNRR e a un massiccio reset delle strutture industriali e ‘commerciali’ (quella che Marx definiva ‘distruzione creativa’) per gestire i quali, non a caso, è stato chiamato un uomo come Draghi, che sin dalla crisi greca ha offerto garanzie e lealtà a chi di dovere.

Ha ragione Agamben quando sottolinea che la falsa libertà guadagnata col Green pass è in realtà l’adesione volontaria a un sistema che fa della prigionia e del controllo i suoi obiettivi assoluti.

Non si tratta di fascismo, ma di una nuova tipologia di totalitarismo, che è cosa in buona parte diversa (il fascismo fu infatti un totalitarismo imperfetto, non riuscendo mai a controllare del tutto né le associazioni cattoliche, né i circoli monarchici), un nuovo totalitarismo, basato essenzialmente sull’obbligo di distanziamento sociale come unica misura capace di garantire la sopravvivenza collettiva che governi in maniera assolutamente ‘impolitica’ (Agamben) e algoritmica il nostro futuro, in assenza di qualsiasi opposizione, visto che si basa su ragioni scientifiche ed ‘etiche’, quindi indiscutibili.

Il Green pass, come alcuni hanno fatto notare, assomiglia certo alla tessera (altrettanto verde) del PNF e svolge in parte le medesime funzioni, ma è molto simile, molto più simile direi, se non altro per i suoi aspetti ‘digitali’, ai piani di ‘credito sociale’, implementati dal governo cinese ben prima di qualsiasi pandemia, quando tutti eravamo assai meglio disposti a scandalizzarcene. Ma oggi, a quanto pare, parlare di stato ‘etico’ non scandalizza nessuno tra la pletora di liberal (progressisti o conservatori che siano) che ci governa da decenni.

Non è così? Bene, anzi meglio, ma se le ragioni sono realmente sanitarie si istituisca piuttosto l’obbligo vaccinale, se lo si ritiene necessario e se si pensa che sia possibile sulla base delle norme costituzionali vigenti, e lo stato si assuma le sue responsabilità.

Si ponga fine al paradosso scandaloso per cui chi è costretto per legge a vaccinarsi debba poi firmare, obbligatoriamente, una dichiarazione in cui liberamente (!) si assume tutte le responsabilità in caso di effetti avversi, anche gravi o gravissimi.

Io, che peraltro sono già vaccinato, se non lo fossi, mi adeguerei immediatamente all’obbligo generalizzato. Ma che qualcuno si prenda, infine, codesta responsabilità!

Costringere i cittadini con una sorta di ricatto, in modo estorsivo, mi pare inaccettabile. Hanno ragione a sottolinearlo Evangelisti, Maccentelli e Sassi, nella loro recente lettera a Contropiano.

Siamo oltre il Trattamento Sanitario Obbligatorio, siamo al Trattamento Sanitario Ricattatorio.

Si fa invece ben altro: si chiede a gran voce addirittura di escludere i non vaccinati dalle cure mediche, o almeno di far loro pagare il conto (salatissimo) delle ospedalizzazioni, con grande successo mediatico, peraltro.

Né alcuno riflette sul fatto, che mi pare evidente, che a ragionare così, i prossimi della lista saranno i fumatori, i tossicodipendenti di ogni genere, poi gli alcolisti, poi gli obesi, poi chiunque abbia stili di vita ‘non salutari’, chi eccede con gli zuccheri, quelli che mangiano troppa carne, eccetera.

Con il proprio comportamento poco ‘salutare’ si crea un danno per la società, dunque si viene esclusi dalla sanità pubblica e – perché no? – da tutta un’altra serie di diritti ‘sociali’, scuola, cultura, welfare, mobilità.

Si va verso una società, dunque, in cui la salute non è più un diritto, ma diventa un dovere, un dovere ‘sociale’.

Non per tutti, certamente: un ricco fumatore obeso, con il vizietto della cocaina e del vino, e senza alcuna voglia di vaccinarsi contro alcunché, potrà pagarsi sempre le sue cure, un povero no, o sarà sano ed ‘immune’, o sarà fottuto.

Stupirà, ma a me pare che si stia anche tirando la volata alla totale privatizzazione della sanità pubblica.

Il Green pass, insomma, è la pistola fumante che dimostra, oltre ogni ragionevole dubbio, che, oggi ed ora, la pandemia è prima di tutto un problema politico, che è una sindemia, con tutto quello che ciò significa.

Il vaccino – indipendentemente, si badi, dalla sua vera o supposta efficacia – serve a mascherare il fallimento delle politiche sociali, scolastiche e sanitarie nazionali, mentre la CoVid 19 – che sia dovuta a un virus chimera sfuggito in quel di Whuan a Bat Lady, o invece a una mutazione e uno spillover assolutamente ‘naturali’ – serve, a sua volta, a mascherare l’immensa crisi sistemica a cui stiamo assistendo.

Tutto ciò, insomma, ha le caratteristiche di un episodio, che qualcuno spera decisivo, della violenta lotta di classe che i ceti privilegiati di buona parte del pianeta hanno scatenato, da circa un trentennio, contro le classi lavoratrici, i poveri, i diversi. Costi quel che costi. E in tutto questo non c’è nulla di ‘scientifico’, ovviamente.

È certamente vero che la fine del capitalismo non significhi necessariamente la fine del mondo (anche se, va detto, il capitalismo si sta seriamente impegnando perché questo accada), ma la fine di questo mondo, così come siamo stati abituati a pensarlo sino a ieri, probabilmente sì.

Ci aspetta un mondo di esseri umani interessati a difendere esclusivamente la ‘nuda vita’, liberi di barattare la propria capacità di pensare ed agire autonomamente, meglio ancora se è quella degli altri, in cambio di una qualsiasi rassicurazione a proposito, in cui la democrazia soffocherà definitivamente, a favore di una società totalitaria e totalizzante in cui essere sani sarà un dovere, un dovere sociale per non pesare sugli altri. E nessuno, in realtà, è mai completamente sano, né immune. Life is a killer, diceva John Giorno…

Mentre quegli altri (quei pochi, pochissimi altri) sono e saranno seriamente impegnati a distruggere ogni condizione di vita ‘sana’ nel mondo, a radere al suolo qualsiasi equilibrio ecologico. Con tutto quello che, tristemente e ineluttabilmente, ne seguirà, ma da cui loro, gli altri, si saranno certamente messi al sicuro, grazie al loro danaro e ai loro privilegi.

Fino all’esplosione finale di cui, negli anni Venti, per l’appunto, già ci parlava quel complottista, terrapiattista e probabilmente no-vax di Zeno Cosini.

Lello Voce – Poeta