«Dopo Marx, Aprile», recitava così il verso di un certo poeta che per lungo tempo è stato una specie di manifesto di gran parte della poesia e dei poeti italiani di ‘tendenza’ (e di ‘trasparenza’) tra gli anni 80 e 90, anni nei quali, solo a parlare di una funzione civile della poesia, si rischiava (come è capitato più volte al sottoscritto) di essere berteggiato come esponente epigonale di un’epoca tanto passata da sembrare un’era geologica pre-preistorica. Erano gli anni del Pensiero Debole e della morte delle ideologie, anni nei quali citare Brecht o Majakovskji, tanto per parafrasare, ‘sembrava un delitto’ ed era certamente un crimine fare riferimento tanto a Fortini, quanto a Sanguineti, Leonetti e Balestrini. Sono stati anni di poesia tutta tramonti e commoventi aurore, di intimismo e lingua piana, di ottimismo a buon mercato e di misticismo heideggeriano a cascate, di poesia ‘poeticissima’, di poeti ispirati e neo-romantici, di orfismo dilagante. E sono stati gli anni di un inverno rigidissimo – altro che primaverili magnifiche sorti e progressive – anni di guerra e Impero, in cui il ventre della bestia, coccolato e tollerato, ha avuto tempo di partorire nuovi mostri.
Oggi è chiaro che le ideologie non sono morte affatto e che sono state semplicemente sostituite dalla macro-ideologia del Pensiero Unico e della Ragione Economica. Oggi di nuovo tanti poeti e letterati si schierano ed è certamente meglio così. E certamente non ha senso star lì a sottilizzare e sostenere: io l’avevo detto…
Meno chiaro è invece il che fare. Perché il problema non sarà risolto semplicemente con un repentino e ultra-metelliano cambio di contenuti. Se la poesia e i poeti possono avere una funzione nella resistenza della società civile italiana contro l’intolleranza, il razzismo, la dittatura mediatica – e io credo che possano averla – questa funzione riguarda i linguaggi e le forme del comunicare tanto quanto i contenuti del suo dire. Era vero negli anni Sessanta ed è ancora più vero oggi, quando è evidente come uno snodo fondamentale della lotta sia proprio la capacità di comunicare con codici e linguaggi contemporanei ed efficaci quanto la società della comunicazione e dello spettacolo, questo nostro ‘Luna park con pena di morte’, sia solo la maschera imbellettata dell’ingiustizia e della sopraffazione. Insomma, per dirla con Pagliarani, il compito del poeta sarà, prima di tutto, ‘tenere in esercizio la lingua’ e inventare nuovi linguaggi per nuovi conflitti.
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